Il cigno di Utrecht

Il cigno di Utrecht. Piedi di seta. Il tulipano bianco. L’olandese volante. Questi sono solamente alcuni soprannomi che ancora ricordo di Marco van Basten, un predestinato, nel bene e nel male.

I suoi genitori fin da piccolo iniziano a chiamarlo Marco, un po’ come diminutivo del suo vero nome, Marcel, un po’ come piace pensare a me perché era scritto nel destino che si sarebbe consacrato come centravanti di livello mondiale proprio in Italia. Se poi giochi nell’Ajax ed hai come compagno di allenamenti un certo Johann Crujiff, che sostituisci nella tua partita d’esordio andando in gol, probabilmente non siamo più di fronte a una mera coincidenza, ma a un ideale passaggio di consegne.

Purtroppo Marco van Basten è un predestinato anche nel male. Perché la sua storia è stata tanto bella quanto maledettamente breve, a causa di quella caviglia sinistra che lo ha tormentato per tutta la carriera. Una maledetta cartilagine gli ha infatti fatto trascorrere più tempo sotto i ferri e in riabilitazione che sul campo, costringendolo al ritiro ufficiale a nemmeno 31 anni, dopo un calvario iniziato quando di anni ne aveva solo 28.

Un conto pagato troppo presto e a caro prezzo rispetto al suo smisurato talento. Ogni gol non era mai banale, ogni giocata era una pennellata di Van Gogh. Ed è questo, più ancora dei numeri, che rimane impresso di van Basten a oltre vent’anni di distanza dal suo addio ufficiale al calcio.

Cresce nelle giovanili dell’Utrecht, rivelando da subito un potenziale enorme. Tuttavia, in molti non sono convinti di tesserarlo poiché, sebbene sia molto dotato tecnicamente, è ancora troppo basso e gracile. Nel 1981, a soli 17 anni, supera di poco il metro e sessanta. Ma in poco più di due mesi cresce di oltre 20 centimetri, arrivando a sfiorare il metro e novanta, cui successivamente aggiungerà un bel po’ di chili per proporzionare il tutto.

Diventa il tipico centravanti moderno, alto e forte fisicamente, ma con la rapidità e la padronanza di palleggio negli spazi stretti tipiche dei ‘piccoletti’.

Dal 1982 al 1987 milita nell’Ajax, dove raccoglie il testimone di Johann Cruijff diventando subito un leader. Vince tre titoli di capocannoniere, una Scarpa d’Oro, una coppa delle Coppe, tre campionati olandesi e tre coppe d’Olanda.

gettyimages-79049349-1024x1024

Già un discreto curriculum per un giovane di soli 23 anni, ma la consacrazione definitiva deve ancora venire. Nel 1986 il Milan viene acquistato da un certo Silvio Berlusconi, il quale intende assolutamente riportare il ‘diavolo’ ai vecchi fasti. Per farlo, ovvio, non si può prescindere dall’avere interpreti adeguati. Così ‘il Cavaliere’ e il suo entourage si mettono al lavoro per allestire una squadra competitiva per la stagione 1987-88.

Leggenda vuole che la scelta di prendere van Basten sia avvenuta durante la visione di una videocassetta di Liverpool-Ajax, in cui il giocatore da tenere sotto osservazione doveva essere Ian Rush. Ma fin da subito Berlusconi rimane abbagliato dall’eleganza e dalle movenze dell’attaccante dei lancieri di Amsterdam, e ordina ai suoi di andare in missione per portarlo al Milan.

E’ l’inizio di un ciclo che cambierà la storia non solo del calcio italiano, ma anche di quello europeo e mondiale. Assieme a van Basten, vengono acquistati il connazionale Ruud Gullit, il capitano romanista Carlo Ancelotti e un allenatore semi sconosciuto proveniente dalla serie B col Parma, Arrigo Sacchi. Gli acquisti vanno a completare una rosa già di buon livello composta tra gli altri da Franco Baresi, Mauro Tassotti, Paolo Maldini, Roberto Donadoni e Pietro Paolo Virdis.

Ma pronti via la sfortuna presenta il conto. Dopo essere andato in gol sia in coppa Italia che all’esordio in serie A contro il Pisa (segnando al portiere Alessandro Nista, segnatevi il nome perché ci torneremo più tardi) la caviglia ferma Marco nella gara di coppa Uefa contro l’Espanyol.

E’ necessario l’intervento chirurgico.

Privo del suo centravanti principe, il Milan viene eliminato dalla coppa Uefa e perde quasi subito terreno in campionato dal Napoli di Maradona. Iniziano a circolare le voci su un probabile esonero di Sacchi. Ma il presidente Berlusconi prende posizione e lo fa in maniera autorevole e intelligente (negli ultimi anni, ahimé, verrà più spesso ricordato per uscite inopportune e destabilizzanti).

Riunisce a rapporto la squadra e comunica un messaggio tanto conciso quanto inequivocabile: l’allenatore lo ha scelto lui ed ha il ‘duecentopercento’ della sua fiducia. Chi tiene ai colori rossoneri segua pedissequamente le direttive dell’allenatore, chi invece pensa che i suoi metodi non portino nulla di buono, è libero di farlo, chiaramente lasciando il Milan e i suoi ricchi ingaggi.

E’ il momento di svolta della stagione. A Verona, campo storicamente ostico per il ‘diavolo’, una vittoria per 1-0 con gol decisivo di Virdis dà il via a una rimonta tanto improbabile quanto spettacolare.

E in primavera, quando mancano poche giornate alla fine del campionato, torna a disposizione anche Marco. Milan-Empoli, si gioca a una porta sola: i toscani non solo non oltrepassano la metà campo, quasi non escono dalla propria area di rigore, eppure non c’è verso di fargli gol.

Nel secondo tempo Sacchi manda in campo van Basten.

Dopo sei lunghi mesi, a venti minuti dal termine, l’olandese riceve il pallone al limite dell’area spalle alla porta, finta a sinistra, sposta la sfera a destra e calcia di destro sul palo opposto: rete! Il Milan è vivo e non molla, e ora ha anche un’arma in più nella rincorsa al Napoli che sta perdendo colpi.

Altra tappa di avvicinamento è il derby con l’Inter: un dominio totale rossonero con vittoria per 2-0, strettissima nel punteggio, ma larga, larghissima in campo, tanto da far esclamare al difensore nerazzurro Riccardo Ferri:

‘Scusi arbitro, li può contare quelli del Milan? Perché non sono undici, ma quindici!’.

La ‘resa dei conti’ va in scena al San Paolo di Napoli il primo maggio 1988. I rossoneri seguono i padroni di casa staccati di un solo punto a tre giornate dal termine. Ospiti in vantaggio con Virdis, Maradona poco dopo pareggia con una punizione magistrale.

All’intervallo è 1-1: sta giocando meglio il Milan, ma non conta, conta solo il risultato.

Di nuovo Virdis su cross dalla destra di Gullit per il 2-1. Poi ancora Gullit fa ottanta metri palla al piede saltando gli avversari come birilli, palla in mezzo dove c’è il neo-entrato Marco che di piatto fa 3-1.

vanbasten

E’ il gol che di fatto vale lo scudetto. Careca accorcia sul 3-2 ma il punteggio non cambierà più. La partita finisce con l’intero pubblico partenopeo in piedi ad applaudire i futuri campioni d’Italia.

Ma la stagione non è ancora finita. In Germania si giocano gli Europei e van Basten è presente con la sua Olanda. Sigla dapprima una tripletta all’Inghilterra, quindi il gol della vittoria contro i padroni di casa della Germania in semifinale.

E’ però nell’atto conclusivo del torneo che va in scena il capolavoro assoluto.

Nel secondo tempo della finale, un cross dalla sinistra raggiunge il vertice opposto dell’area di rigore, dove c’è Marco in posizione defilatissima. Qualunque giocatore normale proverebbe a stoppare il pallone per poi decidere cosa fare, se appoggiarlo in retropassaggio a un compagno o cercare il fondo per un cross in mezzo.

Ma van Basten non è un giocatore normale, si muove come uno che sa già benissimo cosa dovrà fare: al volo, da posizione impossibile, mette il pallone all’incrocio dei pali opposto.

cksbroawgaatbwa

La traiettoria della sfera è un arcobaleno che va a depositarsi nella rete sovietica per uno dei gol più belli nella storia del calcio. L’Olanda è campione d’Europa e van Basten, già campione d’Italia con il suo Milan, chiude il 1988 col primo dei suoi tre Palloni d’Oro.

gettyimages-135176826-1024x1024.jpg

Fedele alla missione indicata da Berlusconi al momento dell’acquisto della società, il Milan dopo l’Italia deve prendersi anche l’Europa e il mondo intero.

Cosa che puntualmente avviene per ben due volte consecutive, nel 1989 e nel 1990. Due coppe dei Campioni, due Supercoppe Europee e due coppe Intercontinentali per chiudere un triennio tanto bello quanto irripetibile.

gettyimages-79047787-1024x1024

 

All’inizio del 1991 però qualcosa è cambiato. Il rapporto di van Basten con Sacchi, mai stato del tutto idilliaco, sfocia in un vero e proprio muro contro muro.

L’allenatore, ritenendo concluso il ciclo di un gruppo con cui ha vinto tutto, chiede un ricambio di non pochi elementi per continuare a vincere; Marco, che non regge più il sergente di ferro Arrigo, sbotta dicendo al presidente: ‘O me, o lui!’.

La società sceglie van Basten, liberando Sacchi che andrà ad allenare la Nazionale italiana, con la quale raggiungerà la finale dei Mondiali a USA ‘94, persa ai calci di rigore contro il Brasile.

All’inizio della stagione 1991-92 sulla panchina del Milan viene promosso, fra lo scetticismo generale, Fabio Capello. Anche lui è un sergente di ferro, ma capisce meglio di Sacchi di avere in van Basten un valore aggiunto, da tutelare e coccolare. Il risultato? Campionato dominato dalla prima all’ultima giornata, nessuna sconfitta e Marco che mette a referto 25 gol, suo record personale in serie A.

La stagione successiva si apre più che mai sotto il nome dell’olandese. 12 gol nelle prime 11 giornate, fra cui spicca il poker al San Paolo contro un Napoli ormai privo di Maradona. Un mesetto dopo si ripete in coppa Campioni a San Siro contro il Göteborg: di nuovo quattro gol, prima assoluta per un giocatore in Champions League.

vanbastengoteborg

La prestazione fuga ogni dubbio su chi debba essere il vincitore del pallone d’oro 1992, il terzo che Marco mette in bacheca, e pare che non sia ancora finita.

 Purtroppo ‘pare’, perchè il destino ha in serbo altro. Pochi giorni dopo la consegna del premio, si opera ancora. La sua assenza si farà sentire, soprattutto in campionato in cui l’Inter a poco a poco recupera un distacco che pareva insormontabile. Dopo quasi cinque mesi di stop, ad Ancona van Basten mette a segno il suo ultimo gol in serie A.

E a chi lo segna? Vi ricordate Alessandro Nista, il portiere al quale sei anni prima aveva segnato il primo? Proprio lui, quasi come a chiudere malinconicamente un cerchio. Anche quel gol consentirà al Milan di portare a termine vittoriosamente il campionato 1992/93.

Ma c’è ancora un’altra partita che Marco non vuole mancare per nessun motivo: la finale di Champions League contro l’Olympique Marsiglia. E’ più o meno al 50% della condizione ma vuole giocare a tutti i costi e Capello non se la sente di negarglielo: a volte in certe partite l’esperienza e la personalità possono fare meglio della ‘semplice’ condizione fisica. Purtroppo non sarà così.

Lotta su ogni pallone, ma si vede che è lontano parente del giocatore dominante che tutti hanno imparato a conoscere. Ha una sola occasione, ma è bravo Barthez a negargli la gioia del gol, poi, a pochi minuti di una partita che vede gli avversari avanti 1-0, viene sostituito. Esce dal campo scurissimo in volto.

gettyimages-644717214-1024x1024

Pochi giorni dopo la finale, ancora un altro intervento alla caviglia, è il quarto. Salterà per intero le stagioni 1993-94 e 1994-95. La fine in fondo al tunnel sembra intravedersi all’inizio della preparazione estiva della stagione 1995-96, ma è una mera illusione.

Dopo poche settimane di ritiro, giunge alla conclusione di dire basta. Convoca una conferenza stampa in cui dirà ai giornalisti: ‘La notizia è breve….è che semplicemente ho deciso di smettere di fare il calciatore.’ Un brivido. Una pugnalata. Il Cigno di Utrecht non avrebbe più aperto le sue ali, sotto il peso della maledizione di quella maledetta caviglia.

VAN BASTEN

 

 

 

  

Mai più

Impossibile cancellare dalla mente quella sera di maggio di 33 anni fà.
Era stato un giorno bellissimo, in trepidante attesa della finale,
contavo le ore, pochi minuti fecero a pezzi il sogno mentre affondavo nel divano di casa, troppo piccolo forse per comprendere realmente il peso dell’errore a cui niente e nessuno dei miei beniamini malcapitati
avrebbe potuto porre rimedio per il resto delle proprie esistenze.
11265312_828615677187733_1018469166077104132_n
Quelle esultanze, quel giro di campo con la coppa si potevano e si dovevano evitare,
lo sanno perfettamente oggi quei miei beniamini
a cui la coscienza non ha dato tregua, ne sono sicuro, in questi lunghi anni.
Quella coscienza che continua a mancare a coloro i quali non perdono occasione per vomitare fango sulla memoria delle vittime, la cui sola colpa è stata di trovarsi lì,
nel posto sbagliato al momento sbagliato
in trepidante attesa della finale dopo un giorno bellissimo.

In punta di piedi

Quando le luci si spengono e il silenzio è dappertutto, si fa luce il profondo attaccamento di un uomo verso tutto quello che lo ha fatto diventare grande

Quasi le due di notte, due come le luci ancora accese al Camp Nou, sul prato verde si staglia la sagoma di un uomo riluttante a lasciare quella che per 22 lunghi anni è stata la sua casa.

iniesta01-1

Prima di far scorrere i propri pensieri, ha atteso l’uscita di tutti gli ospiti accorsi a vederlo per l’ultima volta in azione in maglia blaugrana, ed ora se ne stà lì seduto nel cerchio di centrocampo, il luogo in cui si sente più a suo agio, a piedi nudi, quasi a voler amplificare il senso di profondo contatto che lo lega al morbido terreno di questa casa che lo ha accolto ragazzino e che si appresta a salutarlo uomo vincente e di successo.

Eppure Don Andrés Iniesta che riflette sul proprio glorioso passato, in questo stadio così maestosamente vuoto, esprime un profondo senso di solitudine.

Ora che le luci si sono abbassate emerge la fragilità dell’uomo che fà di tutto per non nascondere il sincero amore verso quella maglia che ancora indossa.

960645458

Con il cellulare in mano scatta un’ultima foto nell’oscurità, lui che è abituato a portare la luce alle stelle e a rimanere nell’ombra, ma che da quell’ombra quando è uscito ha brillato di luce propria, una su tutte la finale in Sudafrica nel 2010 contro l’Olanda, arresto e tiro e Spagna sul tetto del Mondo.

Ora è il momento di uscire però, in punta di piedi (nudi) s’intende, quasi a non far sentire il rumore dei passi che lo porteranno lontano da qui, da questo posto chiamato casa per oltre due decenni, verso il quale può essere difficile dire addio, ma che allo stesso tempo lascerà sempre una luce accesa, il faro verso il suo ritorno.

iniesta03-1

Mucha suerte Don Andrés

 

 

 

 

La cometa di Halley (e Zizou)

Il giorno in cui ebbi la percezione che una prestazione così, un interprete così, non li avrei mai dimenticati

9 gennaio 2000, il tanto temuto millennium bug che avrebbe dovuto produrre un vero e proprio crash informatico si è rivelato in realtà un fenomeno ampiamente marginato e circoscritto. Quello che invece non si può limitare è un altro fenomeno che va in scena alle 13 di questa domenica di inizio millennio allo stadio Tardini di Parma.

Indossa la maglia bianconera, ha il numero 21 sulle spalle e ha nell’eleganza il marchio di fabbrica. Il suo nome è Yazide Zinedine Zidane. Per tutti Zizou.

682176890

Il suo talento non lo scopriamo di certo oggi, ma oggi è una di quelle giornate in cui ogni giocata, ogni movenza, sembra avvenire nella luce, lasciando dietro di sè una scia luminosa e avversari in un mix di estasi e impotenza.

E’ un campionario di movenze uniche, un susseguirsi di controlli e scatti eseguiti con un anticipo clamoroso. Zizou è un campione di completezza: piedi memorabili, visione di gioco panoramica e istantanea, tecnica eccelsa, forza fisica spaventosa, eleganza innata, senso della posizione assoluto.

Sa fare maledettamente bene la veronica, un colpo scritto nel suo destino.

09 JAN 2000. SERIE A. 16th round. PARMA Vs JUVENTUS 1-1. ZINEDINE ZIDANE

La veronica nel calcio è quella finta tramite la quale chi la esegue si passa la palla da un piede all’altro mentre con il corpo ruota su stesso. I francesi la chiamano roulette , gli inglesi l’hanno ribattezzata Marseille turn, proprio in onore di Zidane, che a Marsiglia è nato.

Ironia della sorte la moglie di Zizou si chiama Veronique, come a dire che il francese ha sposato un dribbling.

Oggi al Tardini Zizou è la luce che illumina ogni azione, inventa, regge il centrocampo e guida l’attacco, gioca a un livello talmente straordinario rispetto agli altri 21 uomini in campo da far sembrare normale gente del calibro di Del Piero e Thuram.

682179622

La partita finisce 1-1, con i padroni di casa in 9 che la riacciuffano nel primo dei quattro minuti di recupero grazie a un gol da fuoriclasse di Hernan Crespo, ma poco importa, oggi ho capito che un giocatore così è come la cometa di Halley.

Proprio come lei, capace di ispirare tra un passaggio e l’altro generazioni di artisti come Pascoli, Giotto e forse anche Dante, il transito di Zizou sui campi di calcio merita una benedizione per gli occhi che vi hanno potuto assistere e la celebrazione di quel momento in cui si ha pienamente la consapevolezza delle proprie percezioni, ossia che una prestazione del genere, un interprete del genere, li rivedremo tra chissà quanto tempo.

Chissà che mondo troverà la cometa.

 

Negli occhi aperti, accese appena e spente,
morian le stelle. E Dante fu nessuno.
Terra non più, Cielo non più, ma il Niente.

Il Niente o il Tutto: un raggio, un punto, l’Uno.

(tratto dall’ode di Giovanni Pascoli, Alla cometa di Halley)

 

 

 

 

 

 

Il messaggio di Davide

Quando non riusciamo a dare una spiegazione logica a ciò che accade a un passo da noi, è come se ci sentissimo “traditi” dalla stessa nostra esistenza.
Tutto questo fa impressione rendendoci muti, ma…

Quando non riusciamo a dare una spiegazione logica a ciò che accade a un passo da noi, è come se ci sentissimo “traditi” dalla stessa nostra esistenza.

Tutto questo fa impressione rendendoci muti.

La notizia della scomparsa di Davide Astori ha avuto questo effetto su di me, mi ha lasciato senza fiato e senza forze, ancora una volta la vita mi ha sorpreso con una delle sue deviazioni dai binari della felicità che tutti vorremmo percorrere senza sosta, ed ora quello che solo riesco a fare è starmene muto in un angolo, con le paure che affollano i pensieri e le preoccupazioni che riaffiorano a pochi mesi da un’altra perdita importante per me e per i miei affetti più cari, avvenuta in circostanze analoghe a quelle che hanno portato via il povero Davide.

Ma anche i passaggi più bui e dolorosi della nostra esistenza nascondono un messaggio profondo, di speranza, che ha il diritto di essere riportato in superficie e svelato agli occhi di molti, anche di chi non vuol vedere o di chi non vuol credere che sia così.

E così ho udito questo messaggio attraverso il silenzio irreale degli stadi, l’ho visto nelle maglie dai diversi colori strette intorno allo stesso dolore, ed ho provato l’emozione attraverso la magia di una canzone cantata da chi non c’è più da sei anni, lui nato quel quattro di marzo in cui un altro cuore ha invece smesso di battere.

Interrogarsi sullo stupore della vita e godere appieno di ogni suo momento

mi piace pensare sia questo il messaggio che Davide ci ha lasciato in eredità, un messaggio libero di volare proprio come fa una rondine che si infila nel mondo degli uomini per guardarli da vicino.

Grazie a Lucio per questa poesia

Vorrei entrare dentro i fili di una radio
e volare sopra i tetti delle città
incontrare le espressioni dialettali
mescolarmi con l’odore del caffè
fermarmi sul naso dei vecchi
mentre leggono i giornali
e con la polvere dei sogni volare e volare
al fresco delle stelle, anche più in là

Sogni, tu sogni nel mare dei sogni.

Vorrei girare il cielo come le rondini e ogni tanto fermarmi qua e là
aver il nido sotto i tetti al fresco dei portici
e come loro quando è la sera
chiudere gli occhi con semplicità.

Vorrei seguire ogni battito del mio cuore
per capire cosa succede dentro
e cos’è che lo muove
da dove viene ogni tanto questo strano dolore
Vorrei capire insomma che cos’è l’amore
dov’è che si prende, dov’è che si dà
Sogni, tu sogni nel cielo dei sogni

(Lucio Dalla, Le rondini, 1990)

28783188_10215102231136493_3674460116895036303_n

E ricordati, io ci sarò. Ci sarò su nell’aria.

Allora ogni tanto, se mi vuoi parlare, mettiti da una parte, chiudi gli occhi e cercami.

Ci si parla, ma non nel linguaggio delle parole. Nel silenzio.

(Tiziano Terzani)