Quasi le due di notte, due come le luci ancora accese al Camp Nou, sul prato verde si staglia la sagoma di un uomo riluttante a lasciare quella che per 22 lunghi anni è stata la sua casa.
Prima di far scorrere i propri pensieri, ha atteso l’uscita di tutti gli ospiti accorsi a vederlo per l’ultima volta in azione in maglia blaugrana, ed ora se ne stà lì seduto nel cerchio di centrocampo, il luogo in cui si sente più a suo agio, a piedi nudi, quasi a voler amplificare il senso di profondo contatto che lo lega al morbido terreno di questa casa che lo ha accolto ragazzino e che si appresta a salutarlo uomo vincente e di successo.
Eppure Don Andrés Iniesta che riflette sul proprio glorioso passato, in questo stadio così maestosamente vuoto, esprime un profondo senso di solitudine.
Ora che le luci si sono abbassate emerge la fragilità dell’uomo che fà di tutto per non nascondere il sincero amore verso quella maglia che ancora indossa.
Con il cellulare in mano scatta un’ultima foto nell’oscurità, lui che è abituato a portare la luce alle stelle e a rimanere nell’ombra, ma che da quell’ombra quando è uscito ha brillato di luce propria, una su tutte la finale in Sudafrica nel 2010 contro l’Olanda, arresto e tiro e Spagna sul tetto del Mondo.
Ora è il momento di uscire però, in punta di piedi (nudi) s’intende, quasi a non far sentire il rumore dei passi che lo porteranno lontano da qui, da questo posto chiamato casa per oltre due decenni, verso il quale può essere difficile dire addio, ma che allo stesso tempo lascerà sempre una luce accesa, il faro verso il suo ritorno.
Mucha suerte Don Andrés