Ve lo confesso, il pezzo era pronto,
la seconda rimonta in due giorni consumata nel caldo del deserto californiano, per giunta con quella lunga barba a rievocare immagini messianiche, erano elementi troppo invitanti per non celebrare l’ennesima resurrezione di Sua Santità Roger da Basilea a pochi giorni dalla Pasqua.
Dopo un sabato di passione speso a recuperare un set e tanto gioco alla promettente stellina croata Borna Coric, ecco lo stesso copione ripresentarsi in finale contro “la torre di Tandil” Juan Martin Del Potro, giocatore di ben altra consistenza.
All’inferno andata e ritorno, era questo il titolo suggerito da una partita drammatica, estremamente incerta, che aveva visto per quasi 2 ore il campione svizzero prima soccombere e poi tentare di arginare il ritmo asfissiante impresso dall’argentino.
E quando l’ennesimo rovescio coperto della new age rogeriana è andato a segno rompendo di fatto l’equilibrio del terzo e decisivo set le sembianze dello svizzero hanno iniziato a rivelarsi sulla sua tovaglietta o sudario che dir si voglia, nella pausa tra il nono e il decimo game.
Il copione sembrava già scritto quando lo scenario è mutato, ancora una volta, rivelando la verità tenuta nascosta per oltre 2 ore e mezza di gioco.
Cinque minuti, il tempo necessario a Delpo per tornare dall’aldilà di 3 palle match prima di assestare il micidiale “uppercut”, un dritto inside-out da destra verso sinistra che rendeva vano e al tempo stesso umano ogni tentativo di recupero di Federer, al quale non rimaneva che assistere all’assolo argentino di lì alla fine.
64 67 76 e primo meritatissimo Master 1000 in carriera portato a casa a 29 anni e dopo quattro interventi ai polsi, uno al destro e tre al sinistro, roba da far vacillare anche le convinzioni dei più caparbi.
Juan Martin Del Potro nel marzo 2014, dopo il primo dei quattro interventi al polso
Non ci posso credere, sono così felice di essere tornato a giocare a questi livelli. Ho stupito me stesso, ora voglio stupire il mondo del tennis. Ho vissuto momenti durissimi, voglio non pensarci più. Sto cercando di vivere la mia vita al massimo, giocando al meglio delle mie possibilità ovunque.
E’ questa dunque la vera resurrezione da celebrare, la rinascita di un campione sfortunato che avrebbe meritato di più dal proprio talento, ma che ora, passata la tempesta, sembra l’unico in campo capace di tener testa al numero uno del tennis.
Lunga (seconda) vita Delpo, ci vediamo a Miami, magari la domenica di Pasqua.