No, non sono Roger Federer, spiacente di avervi deluso
Se alzate lo sguardo verso il cielo spesso mi troverete lassù, in cima alle montagne più alte del pianeta
Normale, perché di mestiere faccio l’alpinista, il mio sogno fin da bambino
Ricordo che l’impiegato del Comune un giorno mi chiese
“Nome?” (Simone)
“Cognome?” (Moro)
Alla domanda sulla mia professione risposi con un sonoro “Alpinista!”
L’impiegato mi guardò con aria stranita
“Ma scusi, esiste come professione?”
“Si” confermai
“Quindi scrivo alpinista?”
“Esatto”
Un altro impiegato qualche anno più tardi, nonostante la richiesta fosse sempre la stessa, si ostinò a scrivere sulla carta d’identità “Professionista discipline sportive”
A differenza di alcuni impiegati ottusi
la mia famiglia non mi ha mai impedito di credere nei sogni
aiutandomi così a realizzarmi come alpinista di alta quota e a farne la mia professione
Una professione che mi ha portato al record di maggior numero di ascensioni in prima invernale sugli 8000, scalando nell’ordine il Shisha Pangma (2005), il Makalu (2009), il Gasherbrum II (2011) e il Nanga Parbat (2016)
Per realizzare questi miei sogni sono serviti volontà e determinazione, pazienza e perseveranza, fatica e sacrificio, tutti strumenti da acquisire e affinare col tempo
E’ servito anche provare paura per conoscerla, per imparare a gestirla e poter decidere che è più importante qualcos’altro
Un ruolo fondamentale in tutto questo l’ha avuto il fallimento
Rinunciare non è da falliti, bisogna essere dei campioni per farlo in tempo e senza conseguenze. Nel mio mestiere non è facile resistere alla tentazione della cima che ti chiama dicendoti che potresti entrare nella storia dell’alpinismo
Nel 2008 mi sono fermato a meno di 200 metri dalla cima del Broad Peak.
Ero da solo, stavo bene e le condizioni meteo erano perfette,
ma era tardi, maledettamente tardi, erano le 14:30
Raggiungere la vetta a quell’ora significava esporsi ai pericoli del buio prima di rientrare al mio ultimo campo. Mi fermai e iniziai la discesa, con le lacrime agli occhi, ma con la vita in salvo. Ero quasi arrivato, mai nessuno era riuscito a scalare in invernale un 8000 in tutto il Karakorum, nonostante oltre vent’anni di tentativi
Tre anni dopo, in compagnia di Denis Urubko e Cory Richards sono riuscito nell’impresa, conquistando la cima del Gasherbrum II
Questo insegna che rinunciare non significa necessariamente perdere, ma soltanto rinviare il successo e comunque poterne conseguire altri
Anche la morte ho visto da vicino, era il giorno di Natale del 1997
Parete Sud dell’Annapurna, in cordata con il mio maestro Anatoli Boukreev e con Dimitri Sobolev fummo sorpresi da una valanga. Io sopravvissi per miracolo, dopo un volo di 800 metri, perché ebbi la fortuna di atterrare sull’unico spiazzo a metà parete invece che precipitare per altri 1000 metri
In pochi istanti mi ritrovai seduto, rivolto verso valle, con le gambe immerse nella neve fino alle ginocchia, ferito alle mani e ad una gamba, ma vivo
Dopo aver chiamato invano a gran voce i miei compagni fui “costretto” a mettermi in salvo
Aver visto da vicino la morte mi ha aiutato a crescere come uomo e a farmi apprezzare ancor di più il valore dell’esistenza
io voglio vivere per un sogno, non morire per un sogno
Parla con umanità Simone Moro e arriva dritto al cuore di chi lo ascolta
Sogno e determinazione si fondono e si mescolano in quest’uomo cresciuto ai piedi delle Orobie, nel bergamasco, le montagne “sfigate” come lui stesso ama definirle, sempre con affetto però, quando le paragona alle Dolomiti o al Cervino
Lo ascolti e rimani affascinato dal suo saper condividere i propri sentimenti attraverso le doti comunicative
La semplicità è l’arma con la quale arriva alla gente in modo diretto, autentico, facendoti sentire partecipe delle imprese e delle emozioni ricavate, anche se non muovi nemmeno un passo in montagna
Nella speranza che le sue narrazioni regalino spunti e riflessioni, stimoli e ispirazione
Un po’ quello che è successo a me nel sentire direttamente dalla voce di Simone il racconto dell’impresa sul Nanga Parbat, conclusasi il 26 febbraio 2016 con la conquista della sua quarta prima salita invernale di un 8000, record assoluto
Un impresa riuscita dopo un corteggiamento lungo più di quattro anni, passato attraverso un paio di tentativi falliti, nel 2012 e nel 2014, e nonostante l’incidente di percorso accaduto alla sua compagna di viaggio, Tamara Lunger, costretta a fermarsi a soli 70 metri dalla vetta
Tamara aveva capito che se avesse proseguito non sarebbe tornata a casa
Durante la discesa inoltre inciampò e cadde compiendo un volo di almeno 200 metri
Si fermò per miracolo grazie ad un tratto di neve fresca
Ritrovato il rifugio però, la luce da lei accesa riuscì a guidare sani e salvi Simone e i due compagni di viaggio
C’è un immagine che più di tutte mi ha colpito di questo racconto
La foto ufficiale scattata per le agenzie di stampa poche ore dopo la conquista del Nanga Parbat ritrae Simone insieme ai due compagni capaci di raggiungere la vetta, il pakistano Alì Sadpara e lo spagnolo Alex Txicon, ma soprattutto in compagnia di Tamara, una testimonianza ancora una volta autentica del valore di quest’uomo, un leader carismatico capace di fare squadra con semplicità e coerenza
Un uomo grazie al quale domenica scorsa Tamara ha coronato il proprio sogno
perché come diceva Madre Teresa
la felicità non è una destinazione, ma un percorso